Data: lettera senza data perché la data è ore di vita…
Caro, a te che forse mai leggerai questi righi.
…Non so se questa è una lettera o la prima pagina di un romanzo, il nostro stregato, incredibile romanzo. Ma che importa?....
Ecco, per iniziare ed arrivare all'oggi, ti sciolgo il gomitolo della mia vita...
A Catancity, era il sei di maggio, intorno alle ore 19 e 20…
– Avvenne – Avvenne il black-out della mia luce...
...(Avevo guardato a lungo dalla finestra, quasi che gli occhi volessero imprigionare quel tripudio di colori in cui il sole, trascolorando, sfrangiava i suoi riflessi: magicamente il glicine intenso del cielo si spennellava di un languido rosa e s'innervava di corniola, d'arancio, di fucsia, di sfuggenti bagliori di rubino. Su incerte alghe d'ombre ospitava mutevoli velieri di nuvole in cerca di immaginifici lidi.... Intanto, dal giardino di fronte, come ad addolcire quell'addio della luce, le tremuli corolle del pesco si donavano a sensuali carezze di un venticello serotino).
– Sì, avvenne – E chissà se quell'urlo di pistola esploso dal cuore rimase nella stanza o trafisse con la sua disperata rivolta il frangersi del tramonto che andava socchiudendo le palpebre. Certo, era entrata la falena di un destino amaro che si baloccava nel suo domino bianco e nero con la falce della morte e l'aquilone della vita...
Forse allora, in quel giorno, in quel mese, in quel lontano sud, dopo esser morta, per autoparto sono nata, anzi, mi sono iniziata a concepire. Però, ancora non sapevo il dopo.
In seguito mi dissero, sparando la frase, che sarei per sempre, un sempre eterno e fondo come un abisso, rimasta al buio. Bollata come una bestia che va al macello: cieca.
Da allora andai senza quella me che era prima, in un galattico prima in cui mi ero sentita così nulla da non meritare come tutti gli esseri creati l’amore di una mamma, al di sotto dei bimbi abbandonati a cui può restare il dubbio che la materna defezione sia stata motivata, imposta, impossibile o addirittura obbligata...
Io invece la madre l’avevo, modellata totalmente da buona, anzi perfetta madre, solo che…Semplice: solo che io, per chissà quale colpa (mia, naturalmente, anche se da me completamente dimenticata) , non avevo diritto a quell’affetto, sia pure carnale e istintivo, che lega una donna al frutto del proprio ventre.
Ma quel giorno che seppi della mia condanna senza appello, in me, folgorata da quel bisturi spietato, in me e da me che con quella sentenza avevo pagato il mio debito alla vita, nacque la vera, la nuova Elisa (nome certo non casuale, programmato e programmante: elisa, participio passato del verbo elidere!).
Era viva una creatura non procreata dall’incontro biochimico (d’amore o da semplice coito occasionale? Non importa!), ma un'entità assolutamente privata di origini, di iter procreativo. Ero viva in una solitudine di spazi vuoti, così tanto priva d’amore da essere spasmodicamente libera, senza contatti, senza obblighi, senza avvenire e senza passato, con un presente che era solamente un punto di transizione da superare.
Allora le mie ali volarono alla scoperta di quella vita in cui ero caduta per il rifiuto persino della morte.
Ecco, sul mio cuore era inciso: “Tu sei nulla”.
Nulla per vivere, nulla per morire. Allora quella strana entità nuova che mi aveva recepito iniziò i suoi primi timidi passi, con quelle mani a cui andava bene anche la più piccola briciola…
Da allora, come su una spoletta guidata da un destino occulto, iniziò il mio cammino, fatto di chiodi e di stelle.
Così ebbi pioggia e sole, molti sorrisi e molte lacrime e scivoli per le cadute e ali per le ascese.
Sempre con l’ardente spasimo di dare, poiché non avevo avuto, di annullarmi negli altri, poiché non avevo scoperto me stessa come dono, ma come castigo di una colpa che ora sapevo mai commessa e per questo rifiutata. Ma anche se la bisaccia pesava, le voci dell'aria, l'arruffio della tempesta, i fiori nei giardini avevan la loro maliarda carica vitale e il mare era una stregata orchestra con timpani frementi, con fiati misteriosi, con archetti satanici…
Il sole era carezze d'inaffidabile amante, la luna accorata malinconia d’amore, le dita impulsive e prepotenti del vento, le labbra fredde e intime della pioggia eran droga di vita, spasimo di vivere anch’io con quel mio corpo giovane, appassionatamente ardente e bisognoso d’incontro, di stordimento, di tenere vibrazioni… Sì, vivere, poiché tutto mi dava colori e forme da scoprire con gli occhi delle mani.
Così i puledri degli anni mi portarono per deserti e formichieri, in fosse e vette, su scalini di sale e con diademi di stelle: lunghe cavalcate nel ventre buio della notte e nastri di sole per trapezi fragili mi diedero amene spiagge e qualche approdo…Però nel mio cuore, nato dal rifiuto, c’era una febbre sopita ma struggente: agognavo inesausta la mia compiutezza, il mio TUTTO di cui ero solamente un’infinitesima parte. Sì, anelavo l'incontro con chi potesse finalmente, comprendendomi, amandomi, formare con me in un sogno reale il sublime noi della fusione di due anime. Questa era la mia intima supplica più vibrante! ... Per fondermi al Lui, per donarmi nel più coinvolgente annullamento in quel lui…
E durò a lungo la febbre e sempre risultava vana la ricerca e vuoto l’arrivo: quello che credevo essere l’arrivo che era invece solo una stinta stazioncina di passaggio.
Anche il copione matrimoniale mi giunse con un inizio che conteneva già la fine: un matrimonio razionalmente affettuoso... Un giorno di mimose con cui io stessa avevo adornato l'altare...Mia madre in lussuosa veste di ospite e...la prima notte (o l'ultima?) con la vezzosa camicia di voile cremisi gettata sulla sedia... Nel letto solo lacrime, sgomento e...l'amaro risveglio. Così il fuoco che mi bruciava dentro continuò a consumarsi nella sterile questua: quindi io, Elisa, assettata di giovinezza, cercavo ancora ed ancora la fontana, ma senza la magica bacchetta.
........
Poi…poi era un giorno come tanti ed Elisa camminava per una via come tante, in una città come tante. Come cammina un cane senza padrone che sa di non poter avere e comunque lo cerca.
Elisa, come altre volte prima, come altre volte poi, aveva intrapreso un viaggio, forse alla ricerca di evasioni o meglio nel tentativo di uscire da se stessa.
Catancity.
Ancora, come nel tempo-prima voluto ammantare con la nebbia del passato, Elisa tornò in quelle vene d'asfalto timbrate da storie macchiate di passi stanchi.
Era un meriggio estivo, senza vento, e un odore basso di intimità familiari indugiava nelle stradine della città vecchia. Lontano, come fatto d'un vapore biancastro di nuvole svanenti, il ponte sfidava il cielo, gemmato di cocci, chiodato di sconfitte...
Elisa entrò in un tabacchino per comprare delle cartoline, perché si usa mandarle qua e là a chi non importa di riceverle.
Improvvisa una domanda al tabaccaio che dava il resto: “Che via è questa?”. Risposta anonima. Altre domande per avere almeno quelle anonime risposte.
Intanto, in un angolo remoto dell’anima andava crescendo il ricordo di essere stata colà, quando, molti anni prima, quel suo disperato deficit d’amore materno le aveva annullato la luce….
Sì, perché Elisa era vissuta in quella città prima della tragedia, anzi proprio in quell’apatico ammucchiarsi di vie stanche e di case grigie, dove l'agglomerato urbano s'ingobbiva maggiormente di vecchiaia.
...Senza un perchè, la cartolina del passato si andava animando d'immagini, di suoni, di dolenti ricordi, tentati invano di cancellare...
Il tempo le si frantumava ora dentro... E quel sei maggio, data rossa e nera della sua vita, la soffocava, come aveva fatto allora, bendandola per sempre di buio.
In quella data lei aveva pagato, o creduto di pagare, il suo debito e migrato con lunghe serie di tappe in quel suo nuovo fittizio karma di rinascita, quando era fuggita da quella città.
Ma in quell’anonimo tabacchino, in punta di piedi, ricordi su ricordi ricominciavano ad affiorare, bussando alla conchiglia della memoria: l'aria ferma del locale pareva intubarsi di un vago sentore verde giallastro di limoni, di un acre sciabordar di sale, di fresche risate di gole virginee e di piccole corse di sogni fanciulleschi...
Quasi inconsciamente Elisa con frasi incerte, slegate, andava cercando di evocar fantasmi dallo stupore del tabaccaio, fortunosamente al momento in pausa vendite. Lei chiedeva dicendo di sé, per raccattare briciole del suo passato, di quel passato che aveva cercato di obliare e che ora le ritornava vivissimo dentro e fuori.
...Poi...
....Forse, nelle infinite immensità dell'universo il gong di un destino, pietoso e beffardo insieme, faceva scattare il big bang della fiaba, velandolo però in una fantasmagoria di mistero.
...Uno sconosciuto emerse ad un tratto dal nulla: era già lì, silenzioso recettore (chissà perché) delle piccole timide domande della donna.
Così, voce emergente, disse con distaccata gentilezza: “Signora, se crede…potrei farle sapere io ciò che desidera…” (...tonalità bassa, pacata, con autocontrollo... Età: andante... Forse, statura media...)
Sobbalzo e stupore di Elisa che, non vedendo, aveva ignorato la tacita presenza.
Colloquio garbato, schermaglie di maniera: “Grazie, veramente cortese, ma…”
Insistenza dell’uomo (forse di mezza età, come lei). Elisa, ora incuriosita e anche un po’ pensierosa per lo strano interesse dello sconosciuto: “Non si disturbi… Non è poi così importante…”
Lui, ignorando il lieve disappunto, con una voce freddo-calda, gradevole, volutamente vestita di noncuranza: “Se vuole, mi impegnerò di farle pervenire le notizie che cerca. Ho sentito fortuitamente quanto ha detto di lei.”
Elisa, diffidente: “E’ veramente gentile, però se non ha tempo e voglia…naturalmente senza impe- gno…O meglio, quando torno a casa, se mi dà il suo nome, posso chiamarla io, eventualmente. Il suo nome, prego? Si chiama?...”
Lui (enigmatico): “ Non importa, appena so tutto le telefono io…Ho sentito che abita a ….e mi è sembrato che il suo cognome da sposata sia…”
Elisa, sempre più strabiliata e un po’ ansiosa: “ Ma…come crede…però, se cortesemente mi vuol dire come si chiama e dove poterla rintracciare telefonicamente, potrei, se ne avrò bisogno, contattarla…Preferirei essere io...”
Lui, brusco ed ermetico, con un tono sul limite dell'imperioso: “Appena vengo in possesso…le farò sapere…ho detto.”.
.......
Dopo alcune settimane, quando il curioso quanto bizzarro incontro si era dissolto nella matassa di pensieri vari, cancellato dalla matita bigia del tran tran quotidiano, il telefono squillò. Squillò nella nordica isola in cui Elisa si era ergastolata.
Era la voce controllata del misterioso interlocutore del tabacchino di Catancity, una voce più che mai voluta rendere priva di emotività e anche forse intenzionalmente un po' annoiata!
Domande nacquero e morirono nella mente stupita della donna .
Precisissime e strabilianti le notizie riferitele su di lei, sulla sua famiglia, sul suo passato abitativo e scolastico: un’indagine perfetta, da super detective, anche oltre il richiesto!
La donna, con nella voce una lieve eccitata trepidazione, esplose: “Ma...mio Dio! Ma come ha potuto sapere tutto questo? Lavora per caso al... al Comune? O...conosceva qualcuno della mia famiglia? Lei si chiama? ...”
L'uomo, avvitato nel suo ermetico anonimato, scandì, forse con un filo sottile d'ironia: “ Come vede sono stato esauriente”. E poi, quasi con dileggio: “O no?!”
Un attimo reciproco di silenzio e poi l'inaspettata proposta dell'uomo (-dovuta a gentilezza o a strano interesse?-): “Se non la disturbo, la chiamerò ancora... se desidera altre notizie…”
Elisa, stranita e seccata, rispose brusca: “ No, grazie, va tutto benissimo. La ringrazio veramente, ma non è il caso che si disturbi ulteriormente…”
Lui, con indifferenza: “Come desidera…”
…Si chiusero i due telefoni…(-si chiusero?-)
.......
Sei anni dopo.
La nebbia del tempo aveva intanto sbiadito del tutto la singolarità dell’intervento del misterioso quanto insolito uomo-investigatore.
Per Elisa pagine bianche di calendario volavan via come foglie secche in un costante autunno. Solo timidi tentativi di aggrapparsi per non spegnersi del tutto ad occasionali circostanze più o meno infarinanti di letterarie soddisfazioni macchiettavano la monotonia delle giornate.
Le rimaneva dentro, però, quel suo assettato bisogno d'amore, ora accucciato nella clausura di un andazzo bigio, ormai defraudato di speranza.
...E’ Natale, uno di quei Natali appassiti in cui folate gelide sollevano solamente polvere di ricordi e qualche fragile rimasuglio di frange di desii in essiccazione.
In molte case addobbi natalizi con alberi supercarichi di festoni e palline denunciano il consumismo di una festa sprecata in esteriorità! Più raramente, sporadici exploit di presepi in diradante regresso paiono stendere una lanuggine di muffa religiosa. Emergente, sfora da più parti un vociare alto e volutamente allegro, fuso a un grasso odore di vivande. Manca la neve e senza il caratteristico biancore del tradizionale lenzuolo, il paesaggio è ancora più incartato dall'amaro squallore dell'anima. Dalla terra arida un vapore di sonno tenta la fuga ma è subito stracciato dagli artigli della bora.
Da una lieve bambagia di ammuffito tramonto che, esangue, cerca ancora un'esile sosta tra scheletriti moncherini arborei, il roco sibilo del vento porta brandelli di una musica mielata di preghiera...
Elisa è naturalmente sola, in quella sua secca solitudine con un marito amorfo che sonnecchia nella poltrona d’innanzi alla televisione. Sul tavolo, bugiardamente ilare, stan la tovaglia con vistosi disegni di pungitopo, due bicchieri (vuoti) e una bottiglia (chiusa).
La donna è più sola di quando è sola! Unicamente in attesa, in un' attesa che avanza sul carapace di lentissima testuggine dell'eventuale telefonata dei figli ...lontani (-lontanissimi. -)
Ma il tempo, vecchio, spinge a stento su intorpidito chelone gli arrugginiti respiri del suo passaggio e i minuti paiono aggrapparsi alle frange del crepuscolo per non dissolversi nella bocca della notte.
La televisione esplode auguri e parole in bianca tunica di armonici contatti; tuttavia stranamente il vuoto della casa pare rimanere avulso, anzi crea attorno alla donna una cortina di nebbia.
Ma...
Squilla il telefono…
Il “pronto” malinconico di Elisa sospira un aggancio. Timida ma intensa, coinvolgente, una voce maschile entra, la sfiora, l'avvolge: scatena i mortaretti del cuore.
Sì, la voce, quella voce così unica, così indimenticabile e da allora mai più dimenticata, forse ansiosa, commossa, defluisce, da un lontano che è vicino, in nuvole d'azzurro, edelweiss di memorie.
Dolcemente…
La presenza sonora sgorga dal passato col profumo intensissimo dei ricordi e scioglie dalla trottola del nulla una lunga stuoia di sensazioni credute obliate per sempre: “Sono Carlo G. ...Ti ricordi?....A Catancity...Tu eri nel secondo banco, di fronte alla cattedra...”. ....Gugliate di vita ...diamanti di commozioni e lui, sorridendo ironico, come nelle carducciane rime, “... oggi sono una celebrità./E so legger di greco e di latino,/ e scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù, ma...”
L’inizio…L'inizio della fiaba ?!
Da allora il sole sfiora le tenebre della terra ed Elisa, novella fiammiferaia, accende incredula e radiosa, sognante e timorosa, i suoi brevi fiammiferi di felicità...
.........
Grazie Carlo, a cui indirizzo questa lettera che forse non ti giungerà...(perchè? Perchè le parole che ho non sono le mille spume del cuore con cui continuamente ti parlo... Perchè questa fiaba dolcissima che ci lega non è fatta di sillabe fermabili sulla carta ma di sospiri e di silenzi, di quei silenzi con cui ci si fonde nell'incantamento del -NOI-.
...Da questo momento in avanti conosci anche tu la storia di Elisa e della dolce voce telefonica (la tua): la voce maschia e fluida, languida e timida di un imperàtor con tanti scettri e un'anima sognante, assettata di tenerezza ...
Da allora i nostri gomitoli di vita, in un certo qual modo, si van svolgendo insieme e insieme tessono nello sconfinato prato dei sogni la ragnatela dolcissima del detto e non.
Sì, due seti d'amore cercano nella magia di un filo telefonico la fontana dell'incanto (increduli e pur rapiti, malgrado gli anni-tempo, malgrado gli anni-spazio, malgrado i reciproci vincolanti ruoli). Sì, non negare, Carlo, questa sonata a due mani, non difenderti da ciò che desideri e paventi, dietro la toga della tua timidezza. I miei occhi di dentro bussano e in punta di piedi anelano l'ingresso; con labbra di carezze scoprono i desideri del tuo cuore, per ridare a te il fluido vitale con cui la tua voce di velluto m'impregna tutta.
Fino a quando?
Oh mio poeta unico, cesellatore del nostro stregato nulla d'oro, sapessi com'è più fragile di un'ala di farfalla e più tagliente di un coccio di vetro questa domanda, silenziosa e urlante, che mi si affaccia dentro: caro, infinitamente caro, sei il prima e il dopo, il tutto...
Ma tu mi dici sempre, con quel tuo fascino da pifferaio magico: “Durerà ancora per mille anni e poi per ancora altri mille...”
(Voglio sia così, perchè le fiabe non hanno fine e il loro inizio è fatto dalle infinitesimali particelle d'amore che Coluicheè effonde negli spazi dell'immenso...).
Granelli e granelli di cose appassionate vorrei dire. Ma noi, come dici tu “ci parliamo anche col silenzio...” E con un silenzio, più languido e struggente delle carezze primaverili della brezza, più sensuale e sognante dei baci della luna, firmo queste pagine col nome che hai saputo estrapolare dal participio passato del crudele verbo “elidere”, per dargli la veste fatata di un dolce, inimmaginabile, infinito incontro.
Elisa.